Vincitore nel 2016 del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo per i "Diritti Umani"
Can Dundar, vincitore del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo per la categoria “Diritti Umani” e personalità di spicco del mondo della comunicazione, giunto in Italia per la prima volta proprio in occasione della consegna del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, continua la sua opera in difesa del diritto all’informazione seguendo ciò che accade presso la sua nazione di origine sebbene sia costretta a vivere, da mesi, in Germania.
In occasione della visita del capo di Stato Erdogan in Italia, Dundar ha rilasciato forti dichiarazioni sullo stato della censura in Turchia, rirpendendo anche parti del suo bestseller “Arresti”.
Il libro, edito da Nutrimenti nel maggio 2017, infatti, affronta alcuni dei temi più caldi degli ultimi anni.
Nel maggio del 2015 Cumhuriyet, il maggiore quotidiano turco di opposizione, lancia uno scoop esclusivo che smaschera il coinvolgimento diretto della Turchia nella questione siriana. Un video girato un anno prima mostra un tir dei servizi segreti turchi che trasporta in Siria, nascosto sotto casse di medicinali, un carico d'armi pesanti, verosimilmente destinato alle forze del radicalismo islamico, al-Qaida e Isis. La notizia imbarazza il potere di Ankara; il presidente Erdoğan in persona minaccia pubblicamente i responsabili della diffusione del video.
Pochi mesi dopo, Can Dündar, direttore del giornale, viene arrestato con l'accusa di spionaggio e divulgazione di segreti di Stato. Viene condotto a Silivri, vera e propria cittadella di reclusione per oppositori politici voluta da Erdoğan dopo la sua salita al potere. Trascorrerà tre mesi, di cui quaranta giorni in isolamento, chiuso in una cella di venticinque metri quadrati divisi su due piani, dotata di un angusto cortiletto esterno, cinto da un muro alto dieci metri.
Saranno tre mesi di riflessioni, speranze, resistenza; di lotta indomita per ottenere giustizia e rivendicare il diritto alla libertà di stampa. Un tempo sospeso che Can Dündar racconta in prima persona in questo libro: un fermo atto d'accusa a un regime che incarcera chi si batte per un'informazione libera e, allo stesso tempo, uno straordinario elogio alla forza delle idee.