Sono tornata dal Premio Ischia 2013 di Giornalismo fiera del fatto che, per la prima volta in 34 edizioni, siano state premiate tante valide giornaliste come Isabella Bufacchi, Lilli Gruber, Sarah Varetto, Emanuela Audisio e Franca Giansoldati e felice che il Premio per i diritti umani sia andato ad una giornalista messicana, Lydia Cacho Ribeiro, che con il suo coraggio e la sua passione civile, rende onore a tutte le donne e illumina a tutti la strada del vero giornalismo.
Lydia Cacho è una giornalista, scrittrice, femminista e attivista per i diritti delle donne e dei bambini, che da anni si batte per denunciare il loro sfruttamento e la corruzione imperante nel suo Paese. Nel suo libro "I demoni dell’Eden" (2005) la Cacho accusa un noto proprietario di alberghi e i suoi potenti amici politici di essere coinvolti in un giro di pornografia e prostituzione infantile, con tanto di dichiarazioni delle vittime e prove filmate con videocamera nascosta. Per questo Lydia viene ingiustamente arrestata, sequestrata e malmenata da alcuni poliziotti corrotti, da quegli stessi politici, con 2.000 euro.
"Quando l’ho saputo ho pensato che la mia vita valeva più di 2.000 euro, che la vita di tutti noi vale molto di più e che non possiamo permettere che questo accada. Dobbiamo portare avanti un giornalismo etico, che abbia come punto di riferimento la difesa dei diritti umani" queste le sue parole alla consegna del Premio Ischia, momento in cui ci ha anche ricordato la storia di prostituzione minorile che ha visto implicato il nostro ex premier: "in un Paese civile i giornalisti hanno il dovere morale di denunciare questi fatti gravi."
Lydia, nonostante le continue minacce di morte, non ha paura e non rinuncia alla sua battaglia di civiltà: far sapere ai cittadini cosa succede veramente dietro ai fatti di cronaca, denunciare quella che è una vera e propria tratta di bambine, dai 4 ai 13 anni, attuata da bande di narcotrafficanti e da politici corrotti, che le usano come oggetti per soddisfare i loro appetiti bestiali. Dal 2006 Lydia si impegna soprattutto nelle indagini e nella soluzione di casi irrisolti e drammaticamente numerosi, di omicidi e abusi che avvengono a Ciudad Juarez, tristemente nota come la città più pericolosa del mondo, con il tasso più elevato di assassinii di donne.
E pensare che la sua fama di giornalista d’inchiesta è arrivata quasi per caso: l’editore del suo primo libro che partiva da un’indagine sulla sparizione di una tredicenne americana, aveva infatti chiesto ad un altro giornalista di fare l’inchiesta, ma lui non ebbe il coraggio e propose a Lydia di farla poiché aveva paura di morire. Lei non solo ha fatto l’inchiesta, che ha portato poi all’arresto del colpevole, ma ha dato il via ad una virtuosa catena emulativa per cui ora, in Messico, molti giovani giornalisti, in maggior parte donne, seguono le sue orme e si interessano di queste questioni drammatiche ed altamente pericolose, visto il potere dei principali responsabili di questi reati orribili.
Fino a quando ci saranno persone capaci di squarciare il velo di omertà che copre i sistemi corrotti; fino a quando ci sarà qualcuno che ha il coraggio di far sapere al mondo l’orrore che viene commesso contro i più deboli e i più poveri, allora ci sarà speranza in una società più giusta. In questo caso Lydia Cacho è una vera e propria eroina dei tempi moderni, non solo una brava giornalista, non a caso premiata nel 2007 con il Premio "CNN hero of the World". Come dice giustamente di lei Roberto Saviano: "Lydia Cacho è una donna coraggiosa che ha sopportato prigione e tortura per aver difeso una minoranza cui nessuno prestava ascolto. L’importanza del suo atto di denuncia ha valenza universale perché ovunque lo stato è debole, ovunque c’è spazio per l’illegalità, le prime vittime sono le donne e i bambini".
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